La sgorbia di Pietro Parigi
Organizzando questo incontro dedicato al grande xilografo Pietro Parigi (Settimello 1892-Firenze 1990) l’intenzione è quella di mettere in evidenza i rapporti tra Faenza e Firenze, nati attraverso la linea ferroviaria trans-appenninica sfruttata da molti che diventarono artisti tra le due guerre. Cercheremo in particolare, in questo e in altri incontri che seguiranno, di concentrare l’ attenzione sugli illustri esponenti (allievi ed insegnanti) del prestigioso Istituto Statale d’Arte di Porta Romana.
Pietro Parigi è uno tra i maggiori xilografi italiani del Novecento che nella sua attività ha prodotto più di 1500 potentissime immagini poetiche.
la Xilografia è l’arte di creare multipli intagliando lastre di legno, ma è anche gesto espressivo generalmente caratterizzato dalla efficace semplicità del segno, arte che nacque per accompagnare le parole dei racconti, illustrandoli.
Da tutti considerato uomo mite e taciturno Parigi caratterizzò la propria personalità lavorando da ragazzo in una bottega orafa a Firenze, dove imparò l’arte della riflessione silenziosa. Fu invece la scuola per arti e mestieri di S. Croce, che frequentò da subito per approfondire il mestiere, che attraverso l’umanità di Giotto gli rivelò la potenza delle immagini.
Avere Vent’anni nel 1912 significava partire militare e ritrovarsi al fronte. Parigi partì e fu congedato nel ‘18 per una ferita al braccio sinistro che gli impedì di diventare scultore ma, nella scuola che lo vide allievo, Balsamo Stella, il direttore, lo volle come insegnante di xilografia.
Dopo pochi anni la scuola di S. Croce si trasferì alle scuderie di Porta Romana diventando Istituto Statale d’Arte e Pietro Parigi divenne l’amato Maestro, seminatore di dubbi insegnante di sintesi.
Dal 1920 Parigi iniziò l’attività di xilografo incontrando il suo pubblico attraverso gli editori, da prima col fratello che dirigeva ‘La critica musicale” per la quale, unendo la passione per la musica a quella per le immagini, creò vibranti composizioni.
Il suo segno venne riconosciuto subito come originale dalla critica perché contrapponeva al futurismo una lentezza del fare e la segmentazione spigolosa dei suoi segni, rimaneva al riparo dalla dilagante sinuosità della linea liberty, un poco dannunziana, di quei tempi. Espressivo più dei tedeschi nelle sue energiche abbreviazioni Parigi mette la metafisica trasformando, attraverso la meditazione ascetica, gli oggetti materiali in fenomeni spirituali.
La sua sgorbia fu preziosa ai libri di molti editori e diede immagine alle riviste come: La critica musicale, Il frontespizio, L’illustrazione Toscana, Città di Vita, La Badia, il Calendario dei pensieri e delle pratiche solari e Mal’aria. Ma fu attraverso “Il Dramma Popolare” che Pietro Parigi acquistò spessore europeo eseguendo i Diciotto manifesti per i drammi spirituali messi in scena a S. Miniato dalle più importanti compagnie europee. Gli stretti legami che unirono il maestro al suo allievo Dilvo Lotti, tra i fondatori della prestigiosa rassegna teatrale e depositario per volontà del maestro dall’archivio xilografico, ci danno la possibilità di vedere in questa occasione le opere originali.
Anche oggi ripercorrendo la stessa linea ferroviaria trans-appenninica Faenza – Firenze possiamo ammirare le opere del maestro tornando nei chiostri francescani attigui alla cattedrale di S. Croce che gli diedero la formazione. Il museo ha una collezione di oltre 650 pezzi, è permanente e fu dedicato a Pietro Parigi colui che coltivò la più francescana delle arti fatta di silenzio e mistica riflessione.
Enrico Versari
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